VIVERE CON I GENITORI CHE SI HANNO  

 

I bambini possiedono un istinto biologico all’attaccamento: non hanno scelta.

A seconda di come saranno i loro genitori, ovvero se saranno amorevoli e accudenti oppure distanti, insensibili, rifiutanti o abusanti svilupperanno uno stile di attaccamento basato sul tentativo di soddisfare almeno alcuni dei loro bisogni.

I bambini con attaccamento ansioso o ambivalente, sono bambini che attivano continuamente l’attenzione su di sè piangendo, gridando, aggrappandosi all’adulto o strillando. Questi bambini hanno imparato nel corso della loro esperienza che la madre risponderà ai loro bisogni solo quando riescono ad attirare l’attenzione su di sè.

I bambini con attaccamento evitante sono bambini apparentemente autonomi, sembra che nulla li turbi. Hanno imparato a “non essere visti” dalle figure di attaccamento, a fare tutto da soli.

I bambini che non si sentono sicuri durante l’infanzia hanno difficoltà a regolare l’umore e le risposte emotive una volta diventati grandi.

Bambini che vivono all’interno di relazioni sicure imparano, invece, a comunicare non soltanto la frustrazione e lo stress, ma anche il loro sè emergente , i loro interessi, i loro desideri e obiettivi.

Bowbly scrisse “Ciò che non può essere comunicato all’altro, non può essere comunicato a noi stessi”. Se non possiamo tollerare ciò che sappiamo o sentire ciò che sentiamo, l’unica strada percorribile è quella del diniego e della dissociazione.

Nessuno cresce in circostanzi ideali. Pe r diventare adulti adeguati e sicuri di sè, serve crescere con genitori stabili e prevedibili, con genitori che si divertono con i loro figli, che condividono lo slancio dei figli, aiutandoli ad autoregolarsi. Un bambino ignorato può finire per rispettare poco se stesso o a farsi valere da adulti; la maggior parte degli adulti che ha subito dei maltrattamenti porta con sè una rabbia cieca, il cui contenimento richiede un enorme energia.

Ciò che fa parte del nostro passato non può essere cancellato. Quello che si può fare, invece, è occuparsi delle trecce del trauma nel corpo, nella mente e nell’anima: di quella sensazione schiacciante nel petto, che chiamiamo ansia o depressione, della paura di perdere il controllo, di essere sempre in allerta, del disgusto verso se stessi, della nebbia che ci impedisce di essere concentrati sui compiti, di essere incapaci di aprire completamente il cuore ad un altra persona.

Il trauma ci defrauda dal sentimento di essere padroni di noi stessi.

Tutto ciò significa essere liberi di sapere ciò che sappiamo ed essere liberi di sentire ciò che sentiamo senza esserne sopraffatti o arrabbiati o in preda alla vergogna.

* Tratto da “Il corpo accusa il colpo” Bessel Van Der Kolk.